Lo confesso, sono rimasto deluso da Saviano, come
molti del resto. Ho ascoltato il suo discorso alla manifestazionee: “Verità
per Israele” promosso da Fiamma Nirestein e ho provato un senso di sconforto,
non tanto e non solo per l'atroce banalità delle sue parole, che con
un'espressività elementare e quasi naive, riusciva a velare le terribili
verità dell'oppressione israeliana verso un intero popolo, ma quanto per la sensazione
di avere perso una risorsa che mi sembrava importantere per questo paese.
Come può rappresentare una risorsa, mi sono chiesto, uno che vive una
dissociazione così netta con la realtà? Non è l'unico d'altronde a vivere
questo genere di dissociazione, anche Travaglio è affetto dalla stessa
sindrome, che io vedo apparentata col fenomeno della religione. Anche lì si è
preda di un fenomeno che tende a scindere l'elemento storico da quello del
mito, sull'onda dell'emotività e e dell'emersione di un'identità inoculata
come un virus.
Rimane il
dubbio della cattiva fede e della cattiva coscienza, ma voglio persuadermi
che Saviano sia in buona fede e che sia solo vittima di un allentamento delle
sue capacità di riuscire a selezionare i fenomeni in base ad un criterio
uniforme. Non si comprenderebbe altrimenti perché riesce ad analizzare così
finemente il fenomeno della camorra, dissezionandolo in tutte le sue parti e
sondandolo fin nei minimi recessi e a ignorare allo stesso tempo parti
altrettanto importanti di realtà. Una forma di provincialismo percettivo?
Difficile però a credersi in un mondo così disponibile ad essere svelato solo
a volerlo.
Saviano
cita più volte in maniera quasi cantilenante “ le luci di Tel Aviv”. Sono
l'elemento che più di ogni altra cosa ha suscitato in lui emozione. Appunto,
emozione e rischiaramento, un effetto artificiale di una luce artificiale. Le
luci, la percezione di un'atmosfera calda, tollerate e accogliente sono gli
elementi di un caleidoscopio ipnotico che hanno forse hanno indotto in
Saviano un giudizio fondato sull'emotività piuttosto che sulla fredda
considerazione dei fatti, quasi se con Gomorra lui avesse già dato, se la
ragione fosse ormai consunta e abusata e volesse aprirsi a frontiere
inesplorate della realtà, quella realtà che si coglie dilatando al massimo la
percezione e identificando l'apparire dei fenomeni percettivi con la realtà
stessa. Questo “illuminismo romantico” di Saviano è davvero pericoloso e
induce in chi ascolta la paranoia del complotto.
Qual'è la causa
che rende possibile questa dissociazione? La risposta come spesso avviene la
troviamo nella storia, in quella storia che si intreccia con la natura e con
il “destino dell'uomo”. La nostra stessa società e vittima di una
dissociazione delle sue parti, una scissione intrinseca al sistema stesso. La
civiltà occidentale si è evoluta grazie alla spinta della borghesia che nel
rivendicare i propri diritti di classe in conflitto con l'aristocrazia, ha
aperto le porte a rivendicazioni universali, che fondevano le libertà
economiche con le libertà individuali e portavano all'emersione verso
l'esterno della libertà di coscienza, una libertà fino ad allora relegata a
forza nella sfera privata. Quando tale libertà è divenuta l'elemento
propulsivo dei diritti delle moltitudini, con la lotta e con il sangue si
sono conseguite conquiste storiche che paradossalmente mentre recavano più
libertà e maggiori diritti per gli sfruttati, portavano allo stesso tempo ad
una razionalizzazione del sistema capitalistico stesso, che utilizzava
l'accresciuta libertà degli individui per incrementare il suo potenziale
espansivo e il saggio di profitto, contraddicendo in questo le previsioni di
Marx. Ecco spiegata la dissociazione, non è solo un puro elemento
dispercettivo, ma è un fattore costitutivo della società capitalistica
stessa, che da una parte conserva intatto il potere spietato del capitalismo,
dall'altro genera inevitabilmente quelle “sovrastrutture” destinate
teoricamente a soppiantarla, e che durante i secoli sono state portatrici di
istanze di “progresso”, oscillando fra rivoluzione e riformismo.
Gli
aspetti di democrazia interna e di libera circolazione, unitamente
all'accesso ai consumi delle democrazie occidentali contribuiscono a creare
un milieu dove una buona parte dei cittadini, borghesi o proletari, si trova
a proprio agio. Siamo così portati, se non teniamo ben desto il nostro
spirito critico, a vivere gli elementi sovrastrutturali di una società come
indipendenti dalla sua struttura economica e sociale. Questa è l'essenza
delle democrazie occidentali: elementi di libertà (fatto salvo lo
sfruttamento del lavoro) al proprio interno, con un sufficiente grado di
soddisfazione di bisogni acquisiti della quasi maggioranza della popolazione,
grazie all'abbondanza di plusvalore prodotto, e una politica estera affidata
al realismo amorale della politica, una sfera autonoma e meno soggetta a
condizionamenti e a normative giuridiche o etiche. Forse è una specie di
istinto egoistico di conservazione che induce molti di noi a rimuovere la
presenza di quelle istituzioni sovranazionali che servono e si servono delle
democrazie o se preferite dell'impero, per mantenere un sistema di
distribuzione delle risorse ineguale e che dettano le politiche verso i
cosiddetti paesi emergenti.
Ha ragione
Giuliano Ferrara quando afferma con l'agghiacciante cinismo del liberale che
si è strappato la maschera: “volete i frigoriferi, le televisioni e le
automobili? Questo è il prezzo”. Il prezzo è una competizione spietata per la
conquista a tutti i costi delle risorse del pianeta, ci volesse una guerra
con motivazioni inventate di sana pianta. Per alcuni sedicenti liberali non
ha nessuna importanza la politica estera di una "grande
democrazia", l'importante è che questa si conformi a determinati canoni,
stabiliti non si sa da chi e che danno per scontato ad esempio che il
bipolarismo delle democrazie anglosassoni sia l'unico vero modello di
democrazia. Che importa poi una guerra e qualche milione di civili
massacrati, vivaddio la democrazia non può essere perfetta, solo praticata e
canonizzata, è una realtà che sfugge al desiderio e si conforma solo al
volere della storia. Tutti gli stati che il mondo civilizzato esclude
dall'albo dei paesi democratici, sono stati canaglia, perché è il canone
quello che conta, comodo alibi per le porcherie del liberismo.
Forse
sotto sotto nell'atteggiamento di quelli come Saviano c'è anche una sorta di
malcelato storicismo, che vede nella politica coloniale un passaggio
obbligato verso il progresso dell'umanità, un ponte fra la barbarie dello
stato di natura e la civiltà. L'indigeno va represso e se necessario
annientato, perché rappresenta forme residuali di società morenti e destinate
ad essere soppiantate dal nuovo. L'ansia di compiere una missione storica
induce i liberali di tutte le fatte a sorvolare anche su quegli aspetti
negativi che si manifestano all'interno delle società capitalistiche stesse,
considerati endemici di una democrazia e frutto di una dialettica sociale che
richiede l'esistenza di una classe povera, di un ceto medio e di una classe
borghese agiata, quali elementi di un dinamismo sociale necessario e vitale.
Nel caso di Israele poi questi aspetti solo a non voler chiudere gli occhi
sono eclatanti: l'apartheid e le ingiustizie verso le popolazioni arabe sono
tremendi, ma la luce delle vetrine, la libera circolazione delle merci e con
esse della “cultura”, ci abbaglia e ci persuade che non c'è nulla di meglio
delle democrazia borghese, anche quando questa smentisce se stessa.
Persino
personaggi come Grillo sono vittime della stessa dissociazione. Grillo
racconta un'Inghilterra delle meraviglie, dove lui, un comico, viene ricevuto
e ascoltato nientemeno che dal Ministro della cultura in persona e dove i
delfini nuotano del Tamigi. Gli aspetti di efficienza della macchina statale
secondo i canoni di un concetto di civiltà che si misura con il rispetto
delle leggi, il funzionamento delle metropolitane e la snellezza delle
burocrazia, prevalgono sulle considerazioni in merito alla natura feroce
della politica coloniale e guerriera di uno Stato “democratico”. Che importa
se l'Africa è sotto il loro giogo e se l'Iraq è una groviera insanguinata?
Torna
nuovamente l'inquietante interrogativo: la democrazia ha un prezzo? Se si chi
lo paga?
È
possibile separare ad esempio il benessere della Svizzera e la sua libertà
interna dal riciclo di capitali da parte delle sue banche, derivanti dai
proventi della mafia e dal traffico di droga? È possibile separare la
politica coloniale dell'Inghilterra e della Francia dal loro modello di
democrazia e dal loro livello di reddito pro capite?
Io credo
di si, credo sia possibile ridurre i costi di una democrazia e soddisfare
adeguatamente i nostri bisogni, basterebbe che ci mettessimo d'accordo su un
prezzo equo da pagare, facessimo qualche rinuncia e non dessimo più credito a
fantocci che urlano :”lo standard di vita del mio paese non si tocca”, o
recitano litanie del tipo: “occorre rilanciare i consumi, aumentare la
crescita, la produttività” ecc. ecc . Non sarebbe più necessario affamare un
miliardo e mezzo di persone e distruggere l'ecosistema. Che ci vorrà mai,
basterebbe ripensare integralmente il nostro sistema economico, abolendo per
decreto il pensiero unico in economia. Ma questo è un discorso lungo.
Sono
convinto che anche nel Tevere potrebbero nuotare i delfini, sarebbe
sufficiente eliminare gli squali.
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