Questo però descrive un fenomeno, ma non le cause. Non sta a me fare analisi antropologiche o sociologiche, ma mi sento di dire che il senso di insicurezza alimentato dalla crisi frammisto alla disillusione per qualsiasi forma di valore che non si esprima nelle forme cristallizzate e ad alto coefficiente di coesione sociale come la religione, ha generato nei ceti sociali più vulnerabili alla crisi rabbia e risentimento verso coloro che più facilmente suscitano riflessi ostili: il nero, il migrante il povero, specchi di quella miseria morale e materiale paventata e temuta.
Il sentimento solidaristico scricchiola, permane in larga parte della popolazione come portato culturale ed evangelico, meno come connotato di civiltà, che impone la solidarietà quale criterio ottimale del meccanismo di funzionamento di ogni aggregato umano: "anche se non mi interesso a te mi è più utile e congegnale un sistema sociale e solidale che non mi abbandoni nel momento del bisogno". Questa consapevolezza razionale viene soffocata da ribollire delle emozioni.
La vicenda di Goro è esemplare e meno male che non si arriva ai pogrom.
Dice bene chi dice che il popolo non è nè cattivo nè buono, il popolo, se vogliamo vederla in termini etici universali il popolo è sia cattivo che buono a seconda delle circostanze, delle congiunture economiche, della propaganda e della posta in gioco.
Non si può dire educhiamo il popolo senza cadere in contraddizione, ma si può operare come se stessimo educando noi stessi a dare il buon esempio.
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