lunedì 8 agosto 2016

Perché la comunicazione di Trump può funzionare ovunque

di Danilo Amenduni da Valigia Blu


Donald Trump può davvero vincere le elezioni americane? Il suo stile di comunicazione, che a molti analisti appare bizzarro ed esagerato, è davvero incompatibile con il ruolo di Presidente degli Stati Uniti?
A queste domande di estrema attualità ha cercato di rispondere George Lakoff, uno dei più importanti linguisti ed esperti di psicologia cognitiva. E l'ha fatto con uno splendido e lungo articolo dal titolo Understanding Donald Trump. Ho provato ad analizzarlo e soprattutto a isolare i dettagli delle scelte di comunicazione del candidato repubblicano che potrebbero essere utili per capire quali meccanismi narrativi e retorici potrebbero funzionare in Italia e in Europa.

Il modello del 'padre forte': un vantaggio universale per i conservatori?

La politica americana - e in generale i sistemi politici basati sul bipolarismo o sul bipartitismo - portano a una sovrapposizione di spinte e preferenze eterogenee all'interno dello stesso corpo elettorale. Queste spinte, che in alcuni casi appaiono inconciliabili, riescono però in qualche modo a coesistere all'interno dello stesso orizzonte culturale. La tesi di Lakoff, esposta nel suo libro Pensiero Politico e Scienza della Mente, è (semplificando) la seguente: l'elettorato conservatore è generalmente cresciuto in un modello pedagogico di tipo gerarchico, che può essere definito "del padre forte".
Chi matura le proprie convinzioni crescendo in questo modello accetta le indicazioni dell'autorità in modo maggiormente acritico rispetto a quello progressista, che invece è abituato sin dalla giovane età a mettere in discussione le indicazioni che giungono dall'alto. Questo porterebbe a un'accettazione altrettanto acritica di contraddizioni anche evidenti nella proposta politica.
Applicando ripetutamente questo schema di comportamento sui meccanismi psicologici che determinano le decisioni di voto, Lakoff sostiene che un conservatore sia più disposto ad accettare acriticamente le indicazioni di voto del proprio partito rispetto a un progressista. Questo, in una campagna elettorale a due con un buon livello di incertezza sul vincitore, è un vantaggio non immediatamente visibile ma indiscutibile a favore dei conservatori. E potrebbe essere un vantaggio legato non solo alla cultura americana, ma più in generale a quella "occidentale". L'accettazione della logica del "padre forte" favorisce anche lo sviluppo di alcuni elementi di gerarchia morale che sono alla base del pensiero conservatore classico: Dio è davanti all'uomo, la disciplina va premiata e l'indisciplina punita, i ricchi sono più degni dei poveri, gli adulti contano più dei bambini, gli Stati Uniti contano più degli altri paesi.
Questi elementi di gerarchia morale possono poi essere distorti fino a piegarsi a derive classicamente sessiste o xenofobe: i maschi sono più importanti delle femmine, i cattolici sono più 'degni' dei rappresentanti delle altre religioni, gli eterosessuali e i difensori della presunta famiglia tradizionale sono più 'degni' degli omosessuali.

Trump compete su tutto

La competizione elettorale è spesso vista come una battaglia (e non è un caso se il gergo militare è spesso utilizzato anche in comunicazione politica). Le competizioni a due o in una logica di horse-race accentuano ulteriormente questa tendenza. Gli elettori più motivati entrano quindi in questa logica competitiva (che in Italia è molto più facile da riscontrare nelle elezioni comunali) e accettano l'idea che i candidati si possano sfidare su qualsiasi cosa e in qualsiasi contesto.
Secondo Lakoff, Trump esaspera i toni laddove sia nelle condizioni di inoculare le parole 'vittoria' e 'sconfitta' nelle menti degli elettori, con lui chiaramente vincitore e "gli altri" perdenti. Trump insulta più degli altri perché sa di non avere rivali sulla capacità di insulto. Lo stesso Trump attacca John McCain già candidato conservatore (sconfitto) alle elezioni 2008 e già reduce di guerra, ostaggio per cinque anni in Vietnam, perché lo stesso McCain (ostile verso la candidatura di Trump) avrebbe dimostrato più volte di essere un perdente, mentre Trump (per antinomia) cerca di far passare l'idea di essere un vincente. La ripetizione sistematica di questo schema cognitivo è funzionale a far passare il seguente frame: "chi è vincente merita di vincere".

La forzatura dei nessi causali

Lakoff indica una chiave di lettura rispetto alla comunicazione politica provando a individuare il livello di efficacia della retorica di chi decide deliberatamente di ignorare la complessità per provare ad arrivare prima nelle menti e nei cuori degli elettori. La chiave di lettura riguarda la differenza tra la scelta di adottare una retorica che forza rapporti diretti di causalità tra due fenomeni (se faccio A, succede B), e una retorica che spiega questi rapporti in termini sistemici (se faccio A, si attivano una serie di condizioni che potrebbero portare a B). Esempio: Trump evidenzia il problema dell'immigrazione di cittadini che giungono negli Stati Uniti provenendo dal Messico, e indica la costruzione di un muro sul confine geografico Messico-USA come principale soluzione del problema, ignorando volutamente tutte le variabili collegate all'introduzione di questa proposta nel dibattito pubblico (costi, legittimità della sua realizzazione, effettiva efficacia rispetto al controllo dell'immigrazione, conseguenze in politica estera, possibile esasperazione della xenofobia e così via).
Stesso discorso per la politica della regolazione delle armi. Trump dice: "diamo armi a tutti", ignorando volutamente le conseguenze dell'introduzione di una scelta politica del genere.
Lakoff spiega che la ricerca empirica in psicologia ha dimostrato in questi anni che la retorica conservatrice efficace è basata sul racconto del mondo attraverso rapporti diretti di casualità. Siccome il modello conservatore del "padre forte" non è facilmente contestabile, e siccome lo schema del padre forte nasce e cresce in contesti familiari, la funzione pedagogica semplificata dell'infanzia (il papà dà un ordine, il bambino lo esegue) resta il modello di descrizione della realtà anche in età adulta per quel tipo di elettorato.
È dunque possibile che elettori di appartenenze culturali diverse, in America e non solo, abbiano bisogno di retoriche differenti perché i rispettivi modelli cognitivi di elaborazione delle informazioni sono differenti: i progressisti si aspettano la complessità, i conservatori la semplicità. Se così fosse, le strategie dei leader progressisti mirate a 'semplificare' la propria retorica si riveleranno quasi sempre inadatte dal punto di vista dell'efficacia in termini cognitivi. La retorica "semplificata" non funzionerà sul proprio elettorato. Allo stesso tempo l'elettorato avversario, raggiunto più facilmente grazie all'utilizzo di un vocabolario maggiormente familiare, sarà in ogni caso difficilmente conquistabile con proposte politiche di tipo progressista.
In sintesi: Trump ignora i nessi causali sistemici prima di tutto perché non gli servono per convincere gli elettori conservatori. I democratici, quasi certamente, non se lo possono permettere.

La riscossa dei "bigotti"

Uno dei temi principali della campagna di Donald Trump capace di convincere anche un grande elettore repubblicano come Clint Eastwood è la sua lotta senza quartiere al "politicamente corretto". Questa battaglia è culturalmente 'progressista' come potrebbe superficialmente apparire?
No, secondo Lakoff, il quale considera questa operazione una sofisticata manovra di riaccreditamento di posizioni politiche che negli ultimi venti anni sono state marginalizzate in quanto considerate inaccettabili e che i liberali definivano "bigotte": la percezione di superiorità degli uomini rispetto alle donne, o dei bianchi rispetto ai neri, giusto per citare due esempi classici.
Trump è riuscito a individuare il corretto turning point, cioè il momento nel quale quella parte di americani che si autopercepiva come marginalizzata ha voluto nuovamente esprimere le proprie posizioni in modo libero e senza freni, accusando i liberali di privarli della libertà di poter dire qualsiasi cosa. Trump prova così a operare un rovesciamento: se prima gli "sconfitti" erano coloro i quali esprimevano posizioni inaccettabili, ora gli sconfitti sono i difensori del "politicamente corretto", espressione che in sé ha introiettato negli anni un'accezione via via sempre più moralistica e dunque connotata negativamente.
Chi venti anni fa isolava chi promuoveva concetti razzisti era certamente progressista; ora Trump prova a rendere progressista chi difende quei concetti contro chi li isolava e dunque prova a trasformare i 'liberali' in 'conservatori'. In questo modo Trump si è facilmente accreditato con un'ampia fascia di elettorato che altrimenti non avrebbe avuto cittadinanza politica. Anche questa tecnica è comunemente utilizzata in Italia: basti pensare ai sistematici attacchi della Lega Nord contro Laura Boldrini.

Non pensare all'elefante dai capelli arancio

Lakoff afferma che il concetto politico di "elettore moderato" non esiste in termini cognitivi. Può esistere un cittadino che approva idee che provengono dall'universo valoriale repubblicano e altre idee che provengono dall'universo democratico ma le sue attivazioni cerebrali saranno comunque selettive. I circuiti neurali che spiegano la socializzazione politica sono mutualmente esclusivi e funzionano come un interruttore della luce: o è acceso o è spento. Non ci sono vie di mezzo: ci saranno reazioni precise rispetto all'esposizione a un'idea repubblicana e ci saranno reazioni altrettanto precise rispetto all'esposizione a un'idea democratica.
Non esiste una 'mezza attivazione' o un'attivazione debole nel cervello di un elettore moderato, come si potrebbe invece immaginare. Questo vuol dire che qualsiasi discussione effettuata attorno alle idee di Trump e portata avanti con il linguaggio dei conservatori attiverà i circuiti neurali dei conservatori tout court, e anche dei progressisti con qualche idea conservatrice coerente con la discussione in corso in quel determinato momento.
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Come Lakoff spiega nel suo classico "Non pensare all'elefante", negare l'esistenza di un determinato argomento o frame di comunicazione utilizzando lo stesso linguaggio utilizzato dal proponente del frame avrà un effetto di doppia attivazione neurale del frame originario sul destinatario. In pratica, se si prova a spiegare pubblicamente che Trump mente su un determinato argomento utilizzando le sue stesse parole, c'è il concreto rischio che la ripetizione del concetto (pur smentito) favorisca un doppio rinforzo neurale sull'elettorato conservatore piuttosto che creare un'attivazione sui circuiti neurali dell'elettorato progressista.
Il rifiuto del vocabolario dell'avversario politico come modalità efficace di contrapposizione è oramai un dato acquisito in psicologia cognitiva. La sinistra italiana da questo punto di vista è classicamente e ripetutamente dalla parte dell'errore: pensate ad esempio all'inseguimento della retorica del MoVimento5Stelle sui temi dei costi della politica o all'inseguimento della retorica della Lega Nord sui temi della sicurezza e dell'immigrazione.

Lavorare sul 98% del cervello che decide al posto tuo (e tu non lo sai)

Daniel Kanheman, l'unico psicologo a vincere un premio Nobel per l'economia, ha teorizzato l'esistenza di due sistemi di elaborazione delle informazioni: il sistema 1 e il sistema 2. Il sistema 1 è inconscio, involontario, non riflette, non elabora e serve a fare la stragrande maggioranza delle azioni "automatiche" che gli esseri umani svolgono nella loro vita quotidiana. Il sistema 2 è ciò che viene classicamente considerato come "pensiero razionale": conscio, volontario, basato sulla riflessione e sull'elaborazione, risolutore di problemi complessi. C'è un "problema": il sistema 1 pesa per il 98% delle decisioni prese da un essere umano, il sistema 2 pesa per il 2%. Per vincere le elezioni bisogna saper parlare (quasi solamente) al sistema 1.
Trump adotta numerose strategie per provare a raggiungere questo obiettivo:
Ripetizione di poche parole: l'utilizzo sistematico di un numero limitato di termini favorisce meccanismi di familiarità e attivazioni neurali che semplificano dunque la ricezione dei messaggi da parte degli elettori.
Framing: Donald Trump associa sistematicamente l'aggettivo 'Crooked' (disonesto, corrotto) a Hillary Clinton. 'Crooked Hillary' è dunque una sorta di personaggio a sé, con una sua identità negativa ben riconoscibile. Anche la progressiva riduzione dell'impatto mediatico delle vicende controverse in cui Clinton era finita (in particolare la gestione delle mail istituzionali con un account privato) non l'ha liberata dalla cornice comunicativa in cui Trump l'ha ingabbiata.
Di fatto, il lavoro realizzato sulla percezione attraverso la ripetizione di uno schema comunicativo semplificato può risultare più evocativo ed efficace rispetto alla complessa gestione dell'evoluzione di una polemica. Questo lavoro di framing può essere realizzato con successo in qualsiasi contesto geografico, nei confronti di qualsiasi leader, in qualsiasi momento. Avere curriculum al di sopra di ogni sospetto diventa sempre più importante per non finire imbrigliati dentro i frame imposti dagli avversari.
Esasperazione del caso particolare per imporre un racconto generale: Trump (come buona parte delle destre mondiali) piega alcuni fatti di attualità alla convenienza politica del momento in modo da costruire una propria personale e parziale visione del mondo. Se l'attualità (per esempio) racconta la singola storia di un musulmano violento, Trump sostiene che tutti i musulmani sono violenti. Questo lavoro funziona meglio tra i conservatori che, costruendo la propria socializzazione elettorale sulla base del modello del "padre forte", reagiranno alla paura indotta con la ricerca di un uomo determinato e autoritario.
Utilizzo tattico delle parole: quando può, Trump associa le parole 'radicale' e 'terrorista' alla parola 'islamico'. Lo fa per spostare l'attribuzione negativa delle due parole 'radicale' e 'terrorista' su 'islamico'. Anche in questo caso, non si assiste a nulla di nuovo: l'utilizzo sistematico delle espressioni 'sinistra radicale' e 'comunisti' in Italia da parte di Silvio Berlusconi aveva più o meno gli stessi obiettivi di risemantizzazione in chiave negativa dell'universo valoriale del progressismo. Associare aggettivi e sostantivi tra loro in modo ripetitivo può modificare la percezione delle parole e del loro significato da parte dei destinatari dei messaggi, sia in positivo sia in negativo.
16.8.6 minaccia comunismo

Cosa fare per 'difendersi'?

Lakoff indica una strada al Partito Democratico americano per rispondere efficacemente alla retorica di Trump. Queste quattro indicazioni sono a mio avviso valide anche per la sinistra italiana ed europea.
1) Non ripetere gli slogan falsi del proprio avversario, anche se si usano per dimostrarne la loro falsità.
2) Rinunciare all'idea per la quale se si hanno i dati e si hanno le prove che si sta dicendo la verità, allora basterà dirla in modo razionale e puntuale per vincere le elezioni. Potrà funzionare qualche volta, ma il sistema 1, quello nel quale i processi di elaborazione del pensiero non sono consci, decide nel 98% dei casi. Bisognerà dunque imparare a dire la verità: usando le stesse tecniche di Trump, ma per far arrivare un altro tipo di messaggio. Usare le stesse tecniche di Trump non significa però comunicare "come lui": la semplificazione dei nessi causali non funziona su un elettorato democratico. Significa, piuttosto, accettare l'idea che non basta essere razionali nell'argomentazione per convincere qualcuno.
3) Rifiutare la discesa nell'inferno dell'insulto. Trump sarà sempre migliore in questa disciplina. Perdere dignitosamente in una disciplina che esalta i repubblicani e non convince i democratici non serve a nulla.
4) Comunicare valori, non solo numeri. Principi, non solo risultati. Comunicare per qualcosa, non contro qualcuno.

Il ruolo dell'opinione pubblica

Trump vincerà le elezioni? Non è detto: per fortuna la politica viene sempre prima della comunicazione. Lo stile di comunicazione di Trump è efficace? Certamente sì. I democratici devono comunicare come Trump? Certamente no, prima di tutto perché lo stile di Trump non funzionerebbe tra gli elettori democratici. Le ricerche di psicologia cognitiva di questi decenni, citate anche da Lakoff nel suo articolo, hanno dimostrato che non esiste uno stile di comunicazione universalmente valido per tutti gli elettori. Quale sarà l'eredità di Trump, comunque andrà a finire? E qual è il ruolo dei media e dei cittadini americani in questa fase storica? Il modo migliore per rispondere a queste domande è citare integralmente un passaggio dell'articolo di Lakoff:
Anche se perdesse le elezioni, Trump avrà cambiato i cervelli di milioni di americani, con conseguenze future. È di vitale importanza che la gente conosca i meccanismi utilizzati per comunicare Grandi Bugie e per ficcarle nella testa delle persone senza che ne siano consapevoli. Si tratta di una forma di controllo mentale.
Chi lavora nei media, quando si accorge che ciò sta accadendo, ha il compito di farlo notare. Ma i media hanno anche dei vincoli.
Alcune cose non devono essere consentite all’interno del dibattito politico pubblico. Reporter e commentatori dovrebbero rimanere aderenti a ciò che è evidente e oggettivo. Ma la maggior parte del discorso politico reale utilizza il pensiero inconscio, che plasma il pensiero conscio attraverso un’elaborazione inconsapevole e l’utilizzo di metafore che attingono al senso comune. È cruciale, per la storia della nazione e del mondo, così come del pianeta, che tutto questo sia reso pubblico.
La questione non è relativa solo ai media. Molte responsabilità riguardano i cittadini, che devono diventare consapevoli dei meccanismi cerebrali inconsci come i dieci che abbiamo discusso (nell’articolo originale di Lakoff, NdT). Anche il Partito Democratico con le sue campagne elettorali, a tutti i livelli, condivide questa responsabilità.
L’uso di meccanismi cerebrali delle persone per scopi di comunicazione è necessariamente immorale? Capire come le persone veramente ragionano può essere utilizzato per comunicare la verità, non solo per dire Grandi Bugie o per pubblicizzare prodotti commerciali.

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