giovedì 26 gennaio 2017

Le luci di Tel Aviv e l'abbaglio di Saviano


Ripropongo questo vecchio articolo apparso su Radio città Aperta e  su Forum Palestina 7 anni fa, stimolato dall recenti polemiche su Saviano

di Franco Cilli *

Lo confesso, sono rimasto deluso da Saviano, come molti del resto. Ho ascoltato il suo discorso alla manifestazionee: “Verità per Israele” promosso da Fiamma Nirestein e ho provato un senso di sconforto, non tanto e non solo per l'atroce banalità delle sue parole, che con un'espressività elementare e quasi naive, riusciva a velare le terribili verità dell'oppressione israeliana verso un intero popolo, ma quanto per la sensazione di avere perso una risorsa che mi sembrava importantere per questo paese. Come può rappresentare una risorsa, mi sono chiesto, uno che vive una dissociazione così netta con la realtà? Non è l'unico d'altronde a vivere questo genere di dissociazione, anche Travaglio è affetto dalla stessa sindrome, che io vedo apparentata col fenomeno della religione. Anche lì si è preda di un fenomeno che tende a scindere l'elemento storico da quello del mito, sull'onda dell'emotività e e dell'emersione di un'identità inoculata come un virus.
Rimane il dubbio della cattiva fede e della cattiva coscienza, ma voglio persuadermi che Saviano sia in buona fede e che sia solo vittima di un allentamento delle sue capacità di riuscire a selezionare i fenomeni in base ad un criterio uniforme. Non si comprenderebbe altrimenti perché riesce ad analizzare così finemente il fenomeno della camorra, dissezionandolo in tutte le sue parti e sondandolo fin nei minimi recessi e a ignorare allo stesso tempo parti altrettanto importanti di realtà. Una forma di provincialismo percettivo? Difficile però a credersi in un mondo così disponibile ad essere svelato solo a volerlo.
Saviano cita più volte in maniera quasi cantilenante “ le luci di Tel Aviv”. Sono l'elemento che più di ogni altra cosa ha suscitato in lui emozione. Appunto, emozione e rischiaramento, un effetto artificiale di una luce artificiale. Le luci, la percezione di un'atmosfera calda, tollerate e accogliente sono gli elementi di un caleidoscopio ipnotico che hanno forse hanno indotto in Saviano un giudizio fondato sull'emotività piuttosto che sulla fredda considerazione dei fatti, quasi se con Gomorra lui avesse già dato, se la ragione fosse ormai consunta e abusata e volesse aprirsi a frontiere inesplorate della realtà, quella realtà che si coglie dilatando al massimo la percezione e identificando l'apparire dei fenomeni percettivi con la realtà stessa. Questo “illuminismo romantico” di Saviano è davvero pericoloso e induce in chi ascolta la paranoia del complotto.
Qual'è la causa che rende possibile questa dissociazione? La risposta come spesso avviene la troviamo nella storia, in quella storia che si intreccia con la natura e con il “destino dell'uomo”. La nostra stessa società e vittima di una dissociazione delle sue parti, una scissione intrinseca al sistema stesso. La civiltà occidentale si è evoluta grazie alla spinta della borghesia che nel rivendicare i propri diritti di classe in conflitto con l'aristocrazia, ha aperto le porte a rivendicazioni universali, che fondevano le libertà economiche con le libertà individuali e portavano all'emersione verso l'esterno della libertà di coscienza, una libertà fino ad allora relegata a forza nella sfera privata. Quando tale libertà è divenuta l'elemento propulsivo dei diritti delle moltitudini, con la lotta e con il sangue si sono conseguite conquiste storiche che paradossalmente mentre recavano più libertà e maggiori diritti per gli sfruttati, portavano allo stesso tempo ad una razionalizzazione del sistema capitalistico stesso, che utilizzava l'accresciuta libertà degli individui per incrementare il suo potenziale espansivo e il saggio di profitto, contraddicendo in questo le previsioni di Marx. Ecco spiegata la dissociazione, non è solo un puro elemento dispercettivo, ma è un fattore costitutivo della società capitalistica stessa, che da una parte conserva intatto il potere spietato del capitalismo, dall'altro genera inevitabilmente quelle “sovrastrutture” destinate teoricamente a soppiantarla, e che durante i secoli sono state portatrici di istanze di “progresso”, oscillando fra rivoluzione e riformismo.
Gli aspetti di democrazia interna e di libera circolazione, unitamente all'accesso ai consumi delle democrazie occidentali contribuiscono a creare un milieu dove una buona parte dei cittadini, borghesi o proletari, si trova a proprio agio. Siamo così portati, se non teniamo ben desto il nostro spirito critico, a vivere gli elementi sovrastrutturali di una società come indipendenti dalla sua struttura economica e sociale. Questa è l'essenza delle democrazie occidentali: elementi di libertà (fatto salvo lo sfruttamento del lavoro) al proprio interno, con un sufficiente grado di soddisfazione di bisogni acquisiti della quasi maggioranza della popolazione, grazie all'abbondanza di plusvalore prodotto, e una politica estera affidata al realismo amorale della politica, una sfera autonoma e meno soggetta a condizionamenti e a normative giuridiche o etiche. Forse è una specie di istinto egoistico di conservazione che induce molti di noi a rimuovere la presenza di quelle istituzioni sovranazionali che servono e si servono delle democrazie o se preferite dell'impero, per mantenere un sistema di distribuzione delle risorse ineguale e che dettano le politiche verso i cosiddetti paesi emergenti.
Ha ragione Giuliano Ferrara quando afferma con l'agghiacciante cinismo del liberale che si è strappato la maschera: “volete i frigoriferi, le televisioni e le automobili? Questo è il prezzo”. Il prezzo è una competizione spietata per la conquista a tutti i costi delle risorse del pianeta, ci volesse una guerra con motivazioni inventate di sana pianta. Per alcuni sedicenti liberali non ha nessuna importanza la politica estera di una "grande democrazia", l'importante è che questa si conformi a determinati canoni, stabiliti non si sa da chi e che danno per scontato ad esempio che il bipolarismo delle democrazie anglosassoni sia l'unico vero modello di democrazia. Che importa poi una guerra e qualche milione di civili massacrati, vivaddio la democrazia non può essere perfetta, solo praticata e canonizzata, è una realtà che sfugge al desiderio e si conforma solo al volere della storia. Tutti gli stati che il mondo civilizzato esclude dall'albo dei paesi democratici, sono stati canaglia, perché è il canone quello che conta, comodo alibi per le porcherie del liberismo.
Forse sotto sotto nell'atteggiamento di quelli come Saviano c'è anche una sorta di malcelato storicismo, che vede nella politica coloniale un passaggio obbligato verso il progresso dell'umanità, un ponte fra la barbarie dello stato di natura e la civiltà. L'indigeno va represso e se necessario annientato, perché rappresenta forme residuali di società morenti e destinate ad essere soppiantate dal nuovo. L'ansia di compiere una missione storica induce i liberali di tutte le fatte a sorvolare anche su quegli aspetti negativi che si manifestano all'interno delle società capitalistiche stesse, considerati endemici di una democrazia e frutto di una dialettica sociale che richiede l'esistenza di una classe povera, di un ceto medio e di una classe borghese agiata, quali elementi di un dinamismo sociale necessario e vitale. Nel caso di Israele poi questi aspetti solo a non voler chiudere gli occhi sono eclatanti: l'apartheid e le ingiustizie verso le popolazioni arabe sono tremendi, ma la luce delle vetrine, la libera circolazione delle merci e con esse della “cultura”, ci abbaglia e ci persuade che non c'è nulla di meglio delle democrazia borghese, anche quando questa smentisce se stessa.
Persino personaggi come Grillo sono vittime della stessa dissociazione. Grillo racconta un'Inghilterra delle meraviglie, dove lui, un comico, viene ricevuto e ascoltato nientemeno che dal Ministro della cultura in persona e dove i delfini nuotano del Tamigi. Gli aspetti di efficienza della macchina statale secondo i canoni di un concetto di civiltà che si misura con il rispetto delle leggi, il funzionamento delle metropolitane e la snellezza delle burocrazia, prevalgono sulle considerazioni in merito alla natura feroce della politica coloniale e guerriera di uno Stato “democratico”. Che importa se l'Africa è sotto il loro giogo e se l'Iraq è una groviera insanguinata?
Torna nuovamente l'inquietante interrogativo: la democrazia ha un prezzo? Se si chi lo paga?
È possibile separare ad esempio il benessere della Svizzera e la sua libertà interna dal riciclo di capitali da parte delle sue banche, derivanti dai proventi della mafia e dal traffico di droga? È possibile separare la politica coloniale dell'Inghilterra e della Francia dal loro modello di democrazia e dal loro livello di reddito pro capite?
Io credo di si, credo sia possibile ridurre i costi di una democrazia e soddisfare adeguatamente i nostri bisogni, basterebbe che ci mettessimo d'accordo su un prezzo equo da pagare, facessimo qualche rinuncia e non dessimo più credito a fantocci che urlano :”lo standard di vita del mio paese non si tocca”, o recitano litanie del tipo: “occorre rilanciare i consumi, aumentare la crescita, la produttività” ecc. ecc . Non sarebbe più necessario affamare un miliardo e mezzo di persone e distruggere l'ecosistema. Che ci vorrà mai, basterebbe ripensare integralmente il nostro sistema economico, abolendo per decreto il pensiero unico in economia. Ma questo è un discorso lungo.
Sono convinto che anche nel Tevere potrebbero nuotare i delfini, sarebbe sufficiente eliminare gli squali.